Pericolo
Tutto è cominciato nell’ombra, al riparo di un altrove geografico lontanissimo.
Un’eco flebile, una voce impostata al telegiornale che citava località fino ad allora sconosciute.
Laboratori, genomi, pipistrelli, sporcizia.
Strane sigle, astruse espressioni, allusioni a contagi e sintomi influenzali un po’ troppo intensi rispetto alla norma, decisamente pericolosi.
Pericolo: ecco la prima parola che la mia mente richiama quando penso agli albori dell’epidemia che si è abbattuta, già dal principio di questo 2020, sul nostro pianeta. Una sensazione indefinibile di rischio imminente fuori dalla porta di casa, in quei momenti ancora ben chiusa a doppia mandata.
Allora, quando i brindisi di benvenuto al nuovo anno riecheggiavano ancora nell’aria, i nuovi sogni riposti in esso erano appena stati dichiarati, la lista di obiettivi da raggiungere stilata e i tortellini in brodo dei giorni di festa giacevano, fumanti, nella scodella.

Le allarmanti notizie dalla Cina interrompevano il flusso delle leggere chiacchiere intorno alla tavola, facendoci alzare gli occhi dal piatto e drizzare le orecchie. Ci lasciavano, in un primo momento, sconcertati, poi sospettosi, poi indispettiti e infine esasperati: tanto chiasso per un banale virus influenzale? Bah.
Io non ho mai pensato questo. Mentre attorno a me si costituivano opinioni in merito, e battutine che pretendevano scherzosità ma erano tutt’altro, io sono rimasta in silenzio e ho pensato ai miei nonni. A cosa sarebbe potuto succedere se questo COVID-19 fosse stato qui da noi, invece che laggiù, a minacciare la loro precaria salute e quella di tutte le persone più deboli.

All’epoca, il coronavirus sembrava proprio essere una pesante influenza con complicanze tragiche solo per gli anziani e gli immunodepressi; non certamente per noi giovani, che potevamo però in un attimo convertirci in portatori sani della malattia.
Si poteva ancora tirare un sospiro di sollievo, all’ombra sicura della lontananza geografica. Ma il pericolo si era già insediato nelle menti delle persone più sensibili e lanciava fievoli ma continui segnali d’allarme.
Improvvisamente
Poi, all’improvviso, in giornate qualunque del mese di febbraio, ecco che alcune cose mutano.
Ecco che i confini di quel lontano altrove diventano permeabili, ecco che le particelle di questo sconosciuto virus cominciano a viaggiare e a raggiungere altri paesi.
Ecco che i voli dalla Cina vengono sospesi, ecco che l’aeroporto non è più più così brulicante di viaggiatori in partenza.
Eccolì lì, all’atterraggio del volo che da Budapest mi riportava in Italia, gli operatori sanitari armati di termoscanner per misurare la temperatura corporea dei passeggeri.
Ecco le notizie allarmanti, la paura negli occhi delle persone, la diffidenza, il paziente zero nel nostro paese, i primi deceduti.
Improvvisamente, il loro problema diventa nostro, e diventa Il Problema.
Inevitabile, invalidante, dirompente.
Da brutto pensiero a brutto sogno, fino a diventare una concreta realtà che scardina le regole dello spazio e del tempo, delle abitudini.
La vita quotidiana, così come la conoscevamo noi, si è messa in pausa a tempo indeterminato. E lo ha fatto così, improvvisamente.

Reinventarsi
Ci siamo ritrovati in una nuova dimensione, quella racchiusa tra le pareti di casa, e l’atto di andare a vuotare il rusco (termine bolognese molto simpatico che allude all’immondizia) è diventata l’occasione più ghiotta per fare incetta di aria e di cielo.
Una dimensione parallela a quella che caratterizzava la nostra vita prima, nella quale riscoprirsi: cuochi provetti, incalliti nerd davanti ai videogiochi, lettori appassionati di libri, video-maker su TikTok.
Una quotidianità scandita da videochiamate e dirette su Facebook e Instagram, smart working, attesa dell’apparizione rassicurante e ansiogena insieme di Conte, allenamento quotidiano casalingo, spesso in collegamento con amici, parenti, fidanzati.
Il Covid-19 ha rivoluzionato anche l’amore, separando fisicamente tante coppie e costringendone altre a una convivenza un po’ forzata. Questo che, indubbiamente, è il più grande evento traumatico della nostra generazione, sembra voler mettere a dura prova le relazioni, testandone l’autenticità e la capacità di resistere e di reinventarsi.

Riscoprire nuovi baricentri, più intimi e domestici, diventa la nuova regola. Dalle canzoni a tutto volume sui balconi alla capacità di sentirsi vicini attraverso uno schermo. Di prendersi cura di se stessi, del proprio corpo e degli altri tramite uno schermo.
Si apprendono nuove parole, e diventano di uso comune termini sempre rimasti ai margini del vocabolario: pandemia, infodemia, tampone, quarantena, mascherine, dirette social.
Parole, appunto. Questo periodo, forse, ci fa ricordare anche quanto siano importanti, quanto siano una risorsa fondamentale per relazionarci, ascoltare, comprendere, esprimerci.

Io sono da sempre una grande sostenitrice delle parole dette e scritte con consapevolezza, della fantasia e dei molteplici significati che esse sono capaci di racchiudere e veicolare.
Oggi sono proprio incappata in due termini speciali, che ci caratterizzano in questo delicato momento storico, e voglio condividerli qui con voi.
Fenice
Mi ispiro alla rubrica Parole per domani, pubblicata sul settimanale D (supplemento al quotidiano La Repubblica), che nei vari numeri di questo periodo raccoglie parole ed espressioni che ci caratterizzano e da cui poter ripartire una volta che il virulento incubo sarà finito.
Una di queste è Fenice.
Vinicio Capossela ci ricorda che cos’è questa peculiare creatura: l’uccello sacro di fuoco, un animale dal piumaggio arcobaleno che esiste solo nel mito. Una creatura a cui, dunque, bisogna credere senza porsi troppe domande.
Chi è un accanito lettore di Harry Potter lo sa bene: la caratteristica principale della fenice è la capacità di vivere a lungo, per circa cinquecento anni, e di morire lasciandosi bruciare dai raggi del sole, diventando cenere.
Cenere che si converte in culla, poichè l’uccello magico rinasce da essa rinnovato e giovane, ma con la consapevolezza delle proprie origini.

La fenice ci insegna una nuova prospettiva, ci mostra il mondo e l’importanza di saper risorgere dalle ceneri utilizzando il loro potere concimante con saggezza e volontà di essere migliori.
Guardiamo la terra come respira appena si allenta la presa dell’uomo sul consumo. Dobbiamo fare in modo che questa cenere ci fertilizzi un poco il cuore, col concime degli errori ci faccia crescere penne nuove e lucenti che impieghino altri 500 anni di vita a bruciare. Di una buona luce.
Vinicio Capossela, settimanale D numero 1184

Reduce
Mi ispiro invece ad un articolo di Wlodek Goldkorn, uscito sul numero 14 del 29 marzo 2020 del settimanale L’Espresso, per la seconda parola ispiratrice: Reduce.
Reduce, cito testualmente Goldkorn, è “colui che ha vissuto, sulla propria pelle, la fine di un mondo ed è sopravvissuto, per ricominciare la vita e anche per raccontare quello che gli era successo”.
Di nuovo penso ai miei nonni e ai loro racconti da reduci della seconda guerra mondiale. Non mancano mai di distinguere un prima, un durante e un dopo là guèra quando rivangano e condividono con noi, giovani nipoti, episodi di una civiltà perduta, di un mondo che non c’è e non ci sarà più.

Oltre a loro, l’autore dell’articolo cita anche altre tipologie di reduci: i sopravvissuti alla Shoah, quelli dell’11 settembre 2001, quelli del Bataclan. Tutti esempi (a cui ne andrebbero aggiunti molti altri), che ci comunicano qualcosa di triste e sconveniente: che non è permesso non condividere i dettami, per quanto scellerati, imposti dall’alto, che avere un colore della pelle e una cultura diversa dall’ideologia dominante è una sciagura, che una delle più grandi potenze al mondo può crollare in un attimo… Perfino che ballare e divertirsi in un locale parigino non è un’attività così innocente.
Ciò che stiamo vivendo noi adesso è ben diverso dagli esempi qui riportati. Tuttavia, prosegue Goldkorn, “dopo il Covid-19 saremo fra coloro che hanno vissuto la condizione dei reduci“.
I reduci possiedono un bagaglio di conoscenze proprie solo a loro. Sanno che, a volte, possono accadere cose che vanno oltre la soglia dell’immaginazione, cose che spezzano il tempo, cancellano il prima e il dopo e sospendono l’adesso. Si sentono inadeguati e per certi aspetti colpevoli.
Hanno maggiore consapevolezza dell’arbitrarietà della morte e del fatto che nulla potrà più essere garantito.

Ma da reduci ne usciremo anche con una gran voglia di vivere, di abbracciarci, di stare pigiati insieme in una piazza. I reduci hanno una forza vitale enorme
Wlodek Goldkorn, numero 14 de L’Espresso (29 marzo 2020)
Sì, volenti o no, saremo diversi e spero che potremo ristabilire l’equilibrio delle nostre priorità e goderci di più la vita e le sue piccole, grandi meraviglie.
Prime volte
Non avrei mai immaginato che tale periodo potesse condurmi a sperimentare tante prime volte.
Ci pensavo proprio ieri notte, mentre apprezzavo l’insolito silenzio intorno al mio quartiere, impossibile in frangenti normali della vita.
Voglio metterle qui per iscritto, queste mie prime volte, perchè ognuna di esse è importante:
- parto proprio dal silenzio: innaturale per la mia zona, ma magico e totalizzante. In esso i canti degli uccellini danno il meglio di sé, e spesso mi perdo ad ascoltarli, sentendomi completamente in pace;
- poi c’è la casa: superfluo dire che non mi era mai capitato di trascorrere così tanto tempo dentro alle quattro mura senza mai uscire;
- spesa, farmacia, rusco (vedi terzo paragrafo): mai avrei pensato che fosse così elettrizzante compiere queste noiose mansioni;
- per la prima volta trascorro intere giornate senza make-up. Se mi trucco è perchè devo uscire in società per le attività illustrate sopra, devo girare video e storie per i social, o per video-chiamare amici e ragazzo;
- Eh, il ragazzo… Non è la prima volta che io e il fidanzato romagnolo siamo distanti, la mia permanenza a Barcellona ci ha allenato a questa evenienza. Ma è la prima volta che non possiamo vederci pur vivendo a mezz’ora di macchina. E questo è molto triste e alienante, ma entrambi sappiamo che sarà più bello dopo, quando ci rivedremo!
- inauguro anche la prima volta delle lezioni di inglese telematiche, di cui mi occupo a distanza con alcuni bimbi e ragazzi delle medie. Strano, ma divertente;
- non ho mai guardato tanti film in così poco tempo;
- per la prima volta uno di essi, un film, mi è di ispirazione per la lettura del corrispondente romanzo. Di solito capita il contrario, ma la visione di Anna Karenina mi ha talmente folgorato da spingermi a rileggere con gusto il libro e ad apprezzarlo molto di più;
- per la prima volta l’aria mi sembra più fresca e viva, come se abitassi in campagna. E il cielo ha finalmente abbandonato quella spessa coltre vitrea di smog e inquinamento;
- per la prima volta mi sto allenando tutti i giorni, e riesco a stare in plank sui gomiti per un minuto. Ne vado molto fiera!
- inauguro anche la mia prima intervista in radio, e mi emoziona molto annunciarvelo! Il programma Dance All Tracks, di Radio Sonora, ha deciso di parlare del mio blog! Potrete sentire i miei starnazzamenti in questo podcast, intervallati a bellissima musica.
Con quest’ultima folgorante notizia passo e chiudo, e mi accingo a guardare, con una luce differente, il proseguimento della quarantena.
A presto amici!

Valentina, l’autrice di Kilig Travel Blog
Scrivo, fotografo, mangio e racconto storie sul mondo e sulle cose belle. Amo l’autunno, i libri, i piccoli borghi, i tramonti sul mare, la mia gatta Trippy, i tortellini in brodo (sono bolognese, come potrebbe essere altrimenti?), la montagna, il caffè.
14 commenti
Erica - Rivoglio la Barbie · 18 Aprile 2020 alle 12:56
Mi hanno colpito molto queste parole, soprattutto le “prime volte”. Anche per me è stata la prima volta dell’insegnamento online e devo dire che non mi dispiace anche se spero di tornare al faccia a faccia quanto prima; restare a casa h24 è credo il sacrificio più grande che tutti stiamo facendo, soprattutto per chi come noi ama viaggiare.
Valentina · 22 Aprile 2020 alle 11:23
Grazie mille Erica! Anche a me non è dispiaciuto, anche se ovviamente è tutta un’altra cosa rispetto all’insegnamento faccia a faccia. Speriamo di poter tornare presto a viaggiare e a riprendere alcune delle attività di sempre, ma anche che questo periodo ci aiuti a migliorarci in tutti i campi della vita!
partyepartenze · 17 Aprile 2020 alle 21:58
I reduci sono i fortunati e spero che se lo ricordino quando risorgeranno come fenici e ricreeranno il mondo con un nuovo concetto di socialità. Anche quella sarà una prima volta!
Valentina · 22 Aprile 2020 alle 11:30
Ben detto, spero questo anche io! Che si possa tornare alla vita di prima ma in un modo completamente diverso, per certi aspetti!
marina lo blundo · 17 Aprile 2020 alle 20:53
Mi sei di ispirazione con questo post. Questa cosa delle parole mi piace molto e vorrei mettermi un attimo calma e riflettere su quali potrebbero essere per me quelle più significative di questo periodo. Sia la fenice che il reduce segnano comunque un ritorno, una rinascita, quindi dopotutto potrebbero tranquillamente appartenere, in questo contesto, allo stesso campo semantico. Altra cosa, a proposito delle prime volte: io mi sono riscoperta una fine ornitologa: nella casa davanti a me una coppia di merli ha fatto il nido sotto il coppo del tetto e ogni giorno osservo l’evolversi della questione, tutta preoccupata quando si avvicina un corvo che butta il naso dentro… Insomma, diciamo che stare in casa h24 mi porta a guardare spesso fuori dalla finestra e a cogliere, per forza, le minime variazioni nel mio campo visivo.
Valentina · 22 Aprile 2020 alle 11:39
Grazie mille Marina per questa tua bellissima riflessione! Mi fa molto piacere che tu abbia apprezzato l’articolo, l’ho scritto di getto mettendo insieme alcuni pensieri e letture che stanno caratterizzando la mia quarantena. Mi rendo sempre più conto di quanto le parole siano importanti… Sai che anche io mi ritrovo spesso in questi giorni a osservare la fauna pennuta intorno alle mie finestre? Io ho una coppia di tortore, che viene sempre a mangiare sul mio davanzale (ho comprato il mangime apposito) e sta facendo il nido nel giardino! Che bello, però, avere il nido dei merli vicinissimo! Queste piccole, grandi cose sono meravigliose, ed è meraviglioso avere finalmente il tempo per poterle apprezzare..
Raf · 12 Aprile 2020 alle 22:19
Sempre bellissime e molto delicate le tue riflessioni. Mi sono soffermata soprattutto sul concetto delle prime volte e anch’io, grazie a te, ne ho iniziate a scoprire molte, alcune più tristi, altre più gioiose.
Valentina · 17 Aprile 2020 alle 12:36
Grazie di cuore Raf! Questo articolo l’ho scritto di getto, complice il periodo e le letture a cui mi sono dedicata.. Non pensavo ci potessero essere così tante ed eterogenee prime volte!
Jules · 8 Aprile 2020 alle 10:58
Speriamo di fare davvero come la fenice!
Valentina · 9 Aprile 2020 alle 22:06
Speriamo davvero!! <3
MARTINA · 6 Aprile 2020 alle 12:50
Bellissimo articolo con ottimi spunti di riflessione: anche per me questo periodo è caratterizzato da diverse ”prime volte”. Comunque volevo dirti che anch’io prima ho letto il libro su Anna Karenina, poi ho guardato film e ho trovato il film davvero bello, anche se non mi ha preso come il libro.. ora che ho letto questo tuo articolo mi è venuta voglia di riprendere in mano questo scritto.
Non so se potrò definirmi ”reduce” anch’io ma so che quest’esperienza cambierà molte cose dentro e fuori di me.
Valentina · 9 Aprile 2020 alle 22:17
Grazie di cuore Martina! Sono molto contenta che ti sia piaciuto questo articolo! Quanto è bello il film di Anna Karenina?! Mi ha stregato! Anche a me il libro non mi aveva preso per niente, ma ora che ho deciso di rileggerlo, lo sto affrontando con una nuova prospettiva e lo apprezzo moltissimo! Se ti capita di rimetterci mano, fammi sapere se anche per te è così 🙂
Esatto, quello che hai scritto è proprio quello che sento io: che questa strana esperienza mi sta cambiando profondamente.
E il mio pensiero va spesso verso coloro che, a differenza mia, sono stati travolti dalla ferocia di questo virus..
Lucy the Wombat · 5 Aprile 2020 alle 16:11
Da reduce vera (taac! mi sento molto chiamata in causa in questi giorni 😅), non lo so se sono d’accordo con questa visione dei reduci da coronavirus che citi: di certo qualcuno più in prima linea lo è, ma non credo tutti. Quel che è certo è che questo periodo ci cambierà. E che tu scrivi sempre benissimo. 🙂
Valentina · 9 Aprile 2020 alle 22:35
Lucyy!! Grazie mille per il complimento, mi fa sempre tanto piacere! <3 E grazie per aver condiviso la tua opinione. Dopo ciò che hai vissuto, capisco quello che dici; io non posso neanche lontanamente immaginare che cosa voglia dire essere reduce (se non nel significato più metaforico e astratto di questa parola, spesso usato in modo totalmente sbagliato). Il mio pensiero va in particolare verso coloro che sono in prima linea in questa "battaglia" contro il virus, le cui vite sono state completamente stravolte o private di qualche pilastro fondamentale. Se qualche mese fa mi avessero detto che sarebbe arrivato questo silenziosissimo e invisibile killer, non ci avrei mai creduto. E invece...
Sento che, anche se sono in una posizione passiva, questa situazione sta cambiando qualcosa in me..